La Cina muove a sostegno dell'Iran, mostrando vicinanza verso il Paese di cui è il principale partner commerciale e il primo compratore di petrolio a sconto, malgrado le sanzioni Usa. Mentre il presidente Xi Jinping si avvia a rafforzare la presa sugli Stati dell'Asia centrale, tradizionale 'cortile' prima sovietico e poi russo, grazie al summit di Astana con i leader di Kazakistan, Kyrgyzstan, Uzbekistan, Tajikistan e Turkmenistan, per forgiare nuove interconnessioni infrastrutturali ed energetiche e per creare altri sbocchi per l'export mandarino nel mezzo delle turbolenze sui dazi. Un evento quello di Astana in contemporanea con il G7 canadese, dove tutti gli occhi saranno puntati sulle mosse di Donald Trump.
Dopo i colloqui di sabato del ministro degli Esteri Wang Yi con le controparti di Iran e Israele, in cui ha condannato "gli attacchi agli impianti nucleari" che "hanno creato un precedente pericoloso" e rivendicato il rispetto "di sovranità, sicurezza e integrità territoriale" di Teheran, Pechino ha ribadito la "profonda preoccupazione" per le mosse israeliane e l'improvvisa escalation del conflitto militare. "Tutte le parti devono prendere azioni immediate per calmare le tensioni, per prevenire che la regione finisca in turbolenze anche più grandi e per creare le condizioni di un rapido ritorno al giusto passo della soluzione dei problemi con il dialogo e i negoziati", ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri, Guo Jiakun.
Per Pechino è prioritario evitare un blocco dello Stretto di Hormuz che sarebbe un disastro per export e import, a partire dai prodotti energetici. Se lo facesse, si "metterebbe in posizione ancora più passiva politica e militare" ed entrerebbe "in uno scontro con gli Stati del Golfo: non sarebbe in linea con gli interessi nazionali dell'Iran", ha notato Niu Song, professore al Middle East Studies Institute della Shanghai International Studies University, parlando con il quotidiano Caijin.
Per la leadership cinese è fondamentale non perdere i contatti con Teheran. Secondo gli analisti, con il fallimento del 'fai da te' sugli armamenti e le carenze della partnership con la Russia, l'Iran potrebbe rivolgersi a Pechino per ricostruire le forze armate e le industrie della difesa, rompendo la dottrina del 'né Oriente né Occidente'.
"Probabilmente l'Iran non sarebbe stato così indifeso se avesse avuto qualche decina di caccia J-10 e il sistema di difesa aerea missilistico Hongqi (Bandiera Rossa), o, per dirla in parole povere, se avesse avuto una difesa aerea paragonabile a quella del Pakistan", ha scritto sui social mandarini Hu Xijin, seguito ex direttore del Global Times, il tabloid del Quotidiano del Popolo.
Intanto, il Rapporto 2025 dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) ha segnalato che Pechino ha accelerato la produzione di testate atomiche: ne possiede circa 600, posizionandosi al terzo posto al mondo, dopo Russia (5.459) e Usa (5.177). Il suo arsenale atomico cresce al ritmo di circa 100 nuove testate all'anno, più velocemente di ogni altro Paese.
La Corea del Nord ne ha circa 50 e ha materiale fissile per 40 in più, mentre Israele ha circa 90 testate, malgrado il Paese non ne riconosca il possesso in via ufficiale.
La Cina "ha sempre aderito a una strategia nucleare di autodifesa e mantiene le sue capacità nucleari al livello minimo richiesto per la sicurezza nazionale, senza impegnarsi in alcuna corsa agli armamenti" e nel rispetto "della politica del non primo utilizzo", ha assicurato il portavoce del ministero degli Esteri Guo Jiakun, che sul rapporto Sipri ha detto però "di non avere commenti specifici da fare".
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