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Stupri e torture tra i detenuti, inchiesta sulla rivolta nel carcere di Prato

3 days ago 3

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 Scoperti dalla procura di Prato casi di violenza sessuale tra detenuti nel carcere La Dogaia, in particolare due episodi che la stessa procura definisce "agghiaccianti". In un caso un detenuto avrebbe violentato ripetutamente il compagno di cella minacciandolo con un rasoio, mentre in un secondo caso due detenuti avrebbero torturato e stuprato per giorni un compagno tossicodipendente e omosessuale alla sua prima esperienza carceraria. Secondo le indagini, la vittima è stata brutalizzata con mazze, pentole bollenti, pugni e colpi alla testa, costretta a subire rapporti sessuali ripetuti e a vivere in un regime di terrore continuo.   Il primo caso risale al settembre 2023: un 32enne brasiliano è accusato di aver violentato ripetutamente il compagno di cella pachistano minacciandolo con un rasoio. L'uomo è ora indagato per violenza sessuale aggravata. Il secondo caso, avvenuto tra il 12 e il 14 gennaio 2020, riguarda due detenuti - di 36 e 47 anni - che avrebbero torturato e stuprato per giorni un compagno tossicodipendente e omosessuale alla sua prima esperienza carceraria. Le gravi lesioni riportate si sono accompagnate a gravi traumi psicologici, con conseguenze perdurate per mesi. I due aguzzini sono stati rinviati a giudizio e il processo è in corso. Dai vertici della procura il messaggio è chiaro: "La situazione alla Dogaia è fuori controllo, segnata da un pervasivo tasso di illegalità e da un sistema incapace di garantire sicurezza e dignità". Ma, aggiungono gli inquirenti, "la risposta dello Stato sarà ferma e costante". Intanto le indagini proseguono, con nuove perquisizioni e sequestri in corso anche in questi giorni. 

Inchiesta per il delitto di rivolta dopo i disordini al carcere di Prato del 4 giugno e del 5 luglio scorso e nuove perquisizioni ai detenuti. Lo stesso fascicolo ipotizza i reati di resistenza, lesioni e danneggiamenti. Il 5 luglio una decina di detenuti si barricò nella Media Sicurezza tentando di incendiare materiali, brandendo spranghe e cacciaviti e sfondando i cancelli con brande. Servì l'intervento di agenti antisommossa a riportare la calma. Un episodio simile il 4 giugno, quando cinque detenuti, italiani, marocchini e libici, minacciarono gli agenti con "stasera si fa la guerra" o "si muore solo una volta, o noi o voi". 

 I magistrati vogliono verificare anche alcune "condotte collusive" interne alla struttura e al vaglio ci sarebbe il ruolo di alcuni appartenenti alla polizia penitenziaria mentre è stato chiesto il coinvolgimento del prefetto e del questore per rafforzare la sicurezza anche all'esterno del carcere.
Solo nell'ultimo anno - informa con una nota il procuratore Luca Tescaroli - sono stati sequestrati 41 telefoni cellulari, tre schede sim e un router, ma il numero reale di dispositivi utilizzati dai detenuti potrebbe essere ancora più alto. Secondo le ultime indagini, infatti, nuovi telefoni sono risultati attivi anche dopo le perquisizioni della maxi operazione del 28 giugno scorso, con accessi documentati il 29 giugno, ma anche l'1 e 2 luglio. Strumenti tecnologici che, secondo gli inquirenti, entrano in carcere sfruttando "la libertà di movimento dei detenuti in permesso e la compiacenza di alcuni agenti della polizia penitenziaria". Un detenuto della sezione Alta Sicurezza pubblicava su TikTok le foto della sua cella.
Altri sono accusati con la complicità di agenti corrotti o la copertura di permessi premio, di gestire telefoni, router e comunicazioni all'esterno. 

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

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