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La Corte nega la giustizia riparativa a Impagnatiello

1 day ago 4

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Non ha rielaborato "criticamente" il movente e gli impulsi che lo hanno portato a uccidere Giulia Tramontano, la sua compagna che era in attesa di un bimbo, suo figlio, e non ha mostrato di aver raggiunto la "consapevolezza" del gesto compiuto nè di aver intrapreso un percorso di "rivisitazione" e "di autocensura, di rimarginazione e riconciliazione sociale"". Sono i motivi con cui la Corte d'Assise d'Appello di Milano ha respinto la richiesta di giustizia riparativa per Alessandro Impagnatiello, dopo aver confermato l'ergastolo inflitto in primo grado al barman, che più di due anni fa ha accoltellato la sua fidanzata, al settimo mese di gravidanza, e poi ha cercato di far sparire il corpo bruciandolo. 

L'istituto della giustizia riparativa infatti prevede, oltre alla partecipazione al programma delle persone lese, ossia della famiglia di Giulia che ha espresso la sua "indisponibilità per ora irretrattabile", anche una "responsabilizzazione", attualmente non raggiunta, da parte dell'imputato. Questo ha portato la Corte a negare al 32enne l'ammissione all'istituto, che è "complementare" a quello processuale e che si fonda su tre parametri, ossia l'assenza di pericolo per le parti, l'assenza di pericolo per l'accertamento dei fatti e l'utilità, al momento ritenuta inesistente, del potenziale del percorso riparatorio. A convincere le toghe a non concedere l'accesso all'iter di riparazione del danno, è stata la valutazione dei "moventi" che hanno spinto l'ex barman ad accoltellare Giulia incinta e a cercare di sbarazzarsi del cadavere e che la Corte ha paragonato a "unità di misura" della sua non "raggiunta consapevolezza", "di rivisitazione, di autocensura, di rimarginazione e di riconciliazione sociale".

Tutti elementi su cui le giudici Ivana Caputo e Franca Anelli, hanno dubbi dato che per loro sono state "di maniera", solo per captatio benevolentiae", le dichiarazioni pronunciate in aula durante il processo di primo grado, a un anno esatto dal femminicidio. "La persona che io ero in quel periodo, in quella fase, non era la persona che sono adesso.- aveva detto Impagnatiello - Questo processo mi sta molto aiutando a rimettere a posto i tasselli, dei punti che fino a poco tempo fa erano sparsi nella mia testa, ancora nascosti, ancora confusi. Sono qui oggi anche per, finalmente, esprimere la più vera delle verità, la reale verità, forte del fatto che oggi sono una persona lucida, consapevole, una persona sicuramente più consapevole rispetto alla persona che ero".

Insomma, secondo la Corte, Impagnatiello avrebbe dovuto motivare la scelta di un percorso di riconciliazione, il cui fine è il riconoscimento della vittima del reato, la sua stessa responsabilizzazione offrendo la prova "di un minimo di maturata consapevolezza del senso, della finalità e della personalizzazione di un atto riparatorio". Per tanto i motivi alla base dell'istanza presentata dall'avvocatessa Giulia Geradini, difensore di Impagnatiello, come la sua collaborazione alle indagini, il suo immediato riconoscimento di responsabilità e il "rincrescimento esternato", sono stati ritenuti "irrilevanti" ai fini della valutazione dell'ammissibilità dell'invio al programma riparatorio. E non si esclude che il legale possa ripresentare una richiesta simile più avanti nel tempo in quanto, si legge nell'atto, non c'è alcun "pregiudizio" per il futuro, "a parametri eventualmente mutati". Ma la Corte "allo stato respinge l'istanza".

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

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